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29 settembre 2009 | Informes especiales | Honduras libre | Diritti Umani
La settimana si è aperta con l’atteso ritorno di Manuel Zelaya in territorio honduregno scatenando una cruenta repressione e motivando richieste internazionali per la sua restituzione.
Juan Barahona, conduttore della resistenza in Honduras, ha parlato con Radio Mundo Real descrivendo il peggioramento della repressione da parte dell’Esercito e la Polizia nel centro della città e nei quartieri-colonia, alla periferia di Tegucigalpa.
La tattica dei resistenti implica la convocazione della cittadinanza a sorpresa e in vari punti della capitale allo stesso momento per evitare la dispersione con la forza. Gli strumenti del governo dittatoriale di Roberto Micheletti sono i gas lacrimogeni, gli idranti e i proiettili da parte di una Polizia e di un Esercito che non mostrano segni di disobbedienza agli ordini repressivi.
Barahona ha ragionato sulla sentenza delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione degli Stati Americani su ciò che si vive lì: “se queste istituzioni non possono risolvere un Colpo di Stato in un paese povero e piccolo come lo è Honduras, per cosa esistono?, qual è la loro vera ragione d’essere?”, si è chiesto.
Anche se la presenza si mantiene in tutto il territorio honduregno, ci dice Juan Barahona, si alterna tra le concentrazioni centriche e nei sobborghi per evitare repressioni con violenza estrema e incarcerazioni massive.
Clamore a New York
Come è stato riferito, la situazione di repressione generalizzata e resistenza popolare generata nel paese dopo il ritorno di José Manuel Zelaya ha avuto la sua principale cassa di risonanza nelle cancellerie dell’America Latina e nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si è riunita questa settimana.
Vari presidenti hanno dedicato parte dei loro interventi per reclamare incondizionatamente la restituzione di Zelaya e del suo governo e la fine della repressione nelle strade di Tegucigalpa e di altre città.
Giovedì 24 il reclamo dal podio dell’Assemblea delle Nazioni Unite per la normalizzazione della situazione in Honduras è avvenuto da parte del venezuelano Hugo Chávez, di Fernando Lugo presidente del Paraguay, del capo di governo spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero e di Álvaro Colom del Guatemala.
Un giorno prima anche altri mandatari come Lula Da Silva, Evo Morales e Tabaré Vázquez di Brasile, Bolivia e Uruguay rispettivamente, avevano insistito sulla gravità del Colpo di Stato e delle sue conseguenze come antecedente per tutta la regione.
Lo stesso Segretario Generale dell’organizzazione mondiale Ban Ki-Moon, ha annunciato la sospensione dell’assistenza tecnica che l’ONU avrebbe destinato a favore del processo elettorale nel paese centroamericano. “Attualmente non esistono le condizioni per celebrare i comizi, previsti per il prossimo novembre”, ha detto Ban Ki-Moon.
Evo Morales, che l’anno scorso aveva affrontato un complotto contro di lui da parte dei settori di destra e della ricca provincia di Santa Cruz che quasi terminò con una frammentazione territoriale, ha applaudito la decisione di Zelaya di tornare nella sua patria.
“Forza compagno. Stiamo con te e sta con te tutto il mondo e i popoli che lottano per la restituzione della democrazia in Honduras”, ha aggiunto il mandatario boliviano in un’intervista alla catena Telesur.
A New York Morales ha unito la situazione che attraversa l’Honduras con la presenza minacciante delle basi militari nordamericane in territori latinoamericani. “Sono convinto che il Comando Sud (degli USA) non accetta presidenti che vogliano cambiare realmente il loro paese”, ha detto Evo motivando l’applauso dei delegati mondiali riuniti in assemblea delle Nazioni Unite.
Così il destino della libertà degli honduregni si gioca in vari scenari, però i proiettili feriscono ai migliaia che scendono nelle strade in questo paese centroamericano.
traduttrice: Giorgia Scurato
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