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20 giugno 2006 | | |

Regime speciale di protezione per le multinazionali, di Silvia Ribeiro*

Non esiste alcuna ragione, salvo aumentare il lucro immorale delle multinazionali biotecnologiche, che giustifichi la coltivazione di mais transgenico in Messico. E’ così semplice. Tutto ciò che riguarda in qualsiasi modo la liberalizzazione, sia in via sperimentale che commerciale, parte da presupposti sbagliati - o malintenzionati – che non si basano né su analisi serie della realtà dei prodotti transgenici né su analisi del terreno coltivabile messicano.

L’accordo presentato di recente dalla Sagarpa e dalla Semarnat (segreterie di Agricoltura, Allevamento, Sviluppo rurale, Pesca e Alimentazione, e dell’Ambiente e Risorse naturali) sui lineamenti di biosicurezza per lo "sviluppo di un Regime di Protezione Speciale del Mais", non protegge il mais né i popoli del mais, ma gli interessi delle imprese di prodotti transgenici (Monsanto, Dupont-Pioneer, Dow, Syngenta, Bayer, Basf), e la loro impunità nei confronti dell’inquinamento, che aumenterà inevitabilmente se si legalizzerà la coltivazione di questi semi contro natura.

E’ paradossale che siano normative di "biosicurezza" ad aprire la porta ai prodotti transgenici. Si presentano al pubblico come leggi che richiedono valutazioni attente, dimostrando responsabilità, ma di fatto sono state, in tutto il mondo, il mezzo legale per introdurre i transgenici. Ciò è dovuto al non prendere in considerazione in realtà il principio di precauzione –davanti al dubbio, astenersi-, ma il contrario: nel dubbio, lo proveremo e che le conseguenze vengano pagate dai contadini, dai consumatori e dall’ambiente. Alcune versioni delle leggi di biosicurezza sono particolarmente difettose: è il caso del Messico, dove è più nota come legge Monsanto, modo di dire che si è esteso nel mondo, convertendosi in sinonimo per questo tipo di leggi. Descrive sinteticamente chi beneficia e chi è dietro alla sua formulazione: le pochissime imprese che hanno il monopolio del mercato globale e detengono tutti i brevetti per l’utilizzo dei transgenici, dal terreno alla ricerca e anche la determinazione dell’eventuale contaminazione.

Durante la discussione della legge Monsanto in Messico si è riusciti ad includere all’ultimo momento una frase, che nonostante sia molto generica e debole, ha ingannato in qualche modo le imprese. L’articolo 2, sezione XI, della legge di biosicurezza, obbliga a stabilire un regime speciale di protezione per il mais e per le altre coltivazioni che hanno origine in Messico. Dato che questo articolo è stato già usato da Greenpeace e da altre organizzazioni per ottenere la revoca del permesso che la Sagarpa e la Semarnat avevano concesso a Dupont, Dow e Monsanto per la sperimentazione del mais transgenico, ora le due segreterie cercano di vanificarlo, presentando un accordo alla Comisión Federal de Mejora Regulatoria (Cofemer). Alejandro Nadal ha già opportunamente segnalato che questo "accordo" è infondato e non ha validità giuridica. (La Jornada 14/06/2006).

Inoltre è perverso, perché, infarcito di chiacchiere vuote sulla sostenibilità e sulla protezione della biodiversità, si propone di incrementare e permettere la sperimentazione con il mais transgenico in Messico e, adempiuto a questo requisito, di liberalizzarne la commercializzazione, cosa che non si potrebbe fare senza la previa tappa della sperimentazione. L’accordo cerca di aggirare le critiche che hanno ricevuto entrambe le segreterie per aver cercato di dissimulare l’approvazione di esperimenti delle multinazionali nascoste dietro il nome e nel campo delle pubbliche istituzioni, affermando che gli esperimenti "devono farsi preferibilmente nel territorio delle pubbliche istituzioni". Come la legge Monsanto, l’accordo è pieno di aggettivi e frasi che relativizzano qualsiasi cosa in essa scritta, come “preferibilmente", "dando priorità", "(i criteri) potranno essere modificati", che alla fine lasciano all’interpretazione del funzionario del momento qualsiasi cosa si faccia.

I paragrafi ambigui sul tenere in considerazione le zone di origine (che in realtà sono tutto il Messico e Mesoamerica), con recinti di alcune centinaia di metri per prevenire l’inquinamento (come se servissero), o la “maschiosterilizzazione” del mais nelle zone di sperimentazione, non sono riusciti a nascondere il nucleo duro dell’accordo: "Sviluppare le varietà di mais geneticamente modificato, sempre che sia focalizzato alla risoluzione dei problemi nazionali, dando priorità a quelli che sono d’interesse agronomico, energetico, nutrizionale o ecologico per il nostro paese".

Priorità e interesse che saranno definiti dagli stessi eccellenti e responsabili funzionari che hanno elaborato tale accordo. (E varietà che non esistono, ad eccezione degli energetici, che meritano un articolo a parte in cui si denuncia la nuova tattica delle multinazionali di vendere i propri transgenici come biocombustibili, visto che non funzionano in altro modo).

Alcuni paragrafi sono razzisti e mostrano l’enorme mancanza di conoscenza e il disprezzo per i contadini e gli indigeni, creatori e curatori del mais. Per esempio, dicono che "negli ultimi decenni è sorto l’interesse di preservare la diversità di tale coltivazione nei campi". E poi, che "i mais messicani sono preziosi specialmente per (...) il loro potenziale utilizzo nello sviluppo di varietà migliorate tramite tecniche moderne".

I contadini e gli indigeni, che sono l’85% di coloro che piantano il mais in Messico, "preservano la diversità della coltivazione" da oltre mille anni, non perché gli sia "sorto l’interesse", ma perché è alla base della loro vita, delle loro economie e culture, ora sempre più minacciate dai transgenici. Questo è il loro valore fondamentale, dato che sono stati loro che lo hanno creato e curato per il bene di tutta l’umanità. Al contrario, lo sviluppo e l’introduzione nei loro terreni di "varietà migliorate tramite tecniche moderne" quali ibridi e transgenici, sono stati strumenti essenziali per la perdita dei loro semi e per l’erosione genetica che hanno sofferto.

* Ricercatrice del Gruppo ETC Nota pubblicata sul quotidiano messicano La Jornada il 17 giugno.

Traduzione di Sonia Chialastri – Revisione Giuseppina Vecchia - Progetto Terre Madri – Traduttori per la Pace – Radiomundoreal – www.terremadri.it - www.traduttoriperlapace.org

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